19 Marzo 1953

di Massimo Margaroli (Scavo 2017)
Sto osservando alcune foto di quando avevo un anno. All’improvviso mi viene in mente che nessuno mi ha mai raccontato la mia nascita. Telefono a mia madre per saperne di più, ma non risponde. Mi alzo, entro in corridoio per andare in cucina e mi fermo di botto. Una lama di luce purpurea scaturisce dalle pareti e taglia il corridoio in due.
Mi avvicino con cautela, osservo con attenzione, allungo una mano e la porto piano piano oltre la luminosità. Metto dentro una gamba e poi l’altra.
Al di là c’è una camera da letto. È illuminata da una lampadina da sessanta watt. Le imposte sono aperte, fuori è notte e la sveglia sul comodino segna le cinque. A letto c’è una partoriente, geme, strizza gli occhi e spinge la testa indietro sul cuscino. È mia madre Rosanna.  

La levatrice, con un grembiule bianco, è seduta sul letto e le tiene la mano accarezzandola. Un’altra donna, cinquant’anni, corpulenta, entra nella stanza portando degli asciugamani, profumano di sapone Marsiglia. La camera è bianca e arredata con mobili di noce scuro: un armadio, una cassettiera, due comodini e il letto.
Sulla cassettiera ci sono un vaso con dei narcisi gialli e un giornale. Il profumo dei fiori si mescola a quello erbaceo del Marsiglia. Il giornale porta la data del 18 marzo 1953. In prima pagina: Guerra di Corea, a giugno inizieranno i colloqui di pace a Panmunjon.

Sono dietro alla donna più robusta. Ha la testa tonda, i capelli raccolti in una crocchia sulla nuca. Quando si gira, riconosco mia nonna Carmelina.
Mia madre, ha ventidue anni e il viso di una bambina, tondo e paffuto.
Mi avvicino e cerco di toccarle il braccio, ma la mano passa attraverso il corpo. “Come è possibile?” chiedo. Nessuno mi risponde.
La levatrice le dice: ”Va tutto bene Rosanna. Quando te lo dico, spingi”.
“Ecco, spingi”. Il viso di mia madre si contrae per lo sforzo, ha i capelli sudati e appiccicati alla testa.
“Spingi ancora”.
Chiude gli occhi, porta la testa in avanti e trattiene il fiato.
 “Va bene Rosanna, è tutto a posto, adesso l’ultimo sforzo. Dai spingi”. Esce la testa. “Eccolo, eccolo Rosanna. E’ nato. Stenditi e riposa ora”.

I primi vagiti e ancora la voce della levatrice: “È maschio, è a posto, pesa tre chili. Come lo chiamate?”. Mia madre alza la testa, con fatica: “Lo chiameremo Massimo!”. Sulle sue guance scendono due lacrime.
Anch’io piango, come quando è nato mio figlio.


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