Esistono davvero tanti registri, che dipendono dallo stato d’animo e dal proprio atteggiamento nei confronti della vita e del passato. Anche i VIP si cimentano.
Buona lettura!
La storia comincia con il primo piano di un sedere in una cittadina dell’Illinois di nome Tampico, il 6 febbraio del 1911. La mia faccia era blu per il grande urlare, il mio sedere rosso per gli schiaffi, e mio padre, in seguito, sostenne che era pallido quando disse tremante: “Per essere un piccolo olandese grasso, fa un baccano d’inferno, non è vero?”
John Donahue
Sono nato il 21 dicembre del 1935 da Philip e Catherine al St. John Hospital di Detroit Street a Cleveland, in Ohio. Durante i primi anni di vita, sono cresciuto fisicamente quasi allo stesso passo con cui l’America ha ripreso quota dopo la Grande Depressione.
Johann Von Goethe
Il 28 agosto del 1749, mezzogiorno, mentre l’orologio suonava le dodici, sono venuto al mondo, a Francoforte sul Meno. Il mio oroscopo era propizio.
Cesare Zavattini, “Io – un’autobiografia”
Dovrei dirvi i fatti obiettivi, ma credo che come me qualunque autore interrogato su questi dati senta una specie di insofferenza per la loro monotonia. Verrebbe voglia di cambiarli, magari sbattendo il pugno sulla tavola: no, io non sono nato il 20 settembre 1902 a Luzzara, ma il 15 agosto di tanti anni fa molto lontano, e ogni volta cambiare e sentirsi il naso improvvisamente più lungo o più corto, il colore degli occhi diverso e anche le idee, ciò che prima dispiaceva ora piace e viceversa. Oh sarebbe un’avventura. ma non è vero, non è vero, siamo legati al nostro mucchietto di numeri, alle nostre date, e non amiamo in fondo uscire da noi, come non si esce volentieri di casa d’inverno quando è freddo e buio.
Alessandro Bergonzoni, “È già mercoledì e io no”
“È un maschio!” Ed estrasse il neonato, così come si leva una palla da bowling dal rullo girolone. “Ce n’è un altro… un altro… un’altra, una bambina… un bambino, un altro…” E l’ostetrica rideva, rideva come chi tra un po’ avrebbe smesso di ridere. “…un maschio ancora… una femmina… un’altra…” E quel corpo slot-machine espelleva a cascata come quando si abbassa la leva e si vince.
Isabel Allende, “Ritratto in seppia”
Sono venuta al mondo un martedì d’autunno del 1880, nella dimora dei miei nonni materni, a San Francisco. Mentre all’interno di quella labirintica casa di legno mia madre, grondante di sudore, ansimava per aprirmi un varco, il cuore intrepido e le ossa disperate, nella strada ribolliva la vita selvaggia del quartiere cinese con il suo aroma indelebile di cucina esotica, il suo chiassoso torrente di dialetti sbraitati, la sua inestinguibile folla di api umane in un frettoloso andirivieni. Nacqui di buon mattino, ma a Chinatown gli orologi non si attengono ad alcuna regola e a quell’ora prende vita il mercato, il traffico di carretti e i latrati tristi dei cani nelle loro gabbie, in attesa del coltello del cuoco. Solo parecchio tempo dopo sono venuta a conoscenza dei particolari della mia nascita, ma sarebbe stato ancora peggio non averli mai appresi; si sarebbero potuti smarrire per sempre negli impervi sentieri dell’oblio.