Pillole di grafologia

La scrittura, si sa, è proiezione del nostro corpo all’esterno, come parte di noi che si allunga sul foglio o sul muro, o sulla pietra e lascia segni che sono traccia della nostra fisicità.

Attraverso il nostro braccio, la nostra mano che scrive.

Scrive Kafka, nel suo Diari: “Scrivo queste cose certamente perché dispero del mio corpo e del mio avvenire con questo corpo”.

Nella grafia, insomma, è proiettata l’immagine corporea dello scrivente. I grafologi insegnano che un tratto grafico può essere suddiviso in una zona superiore, nella quale si esprimono le aspirazioni intellettuali e spirituali; una zona mediana, sede dell’Io empirico e delle emozioni; una zona inferiore delle pulsioni e della sessualità; una direzione sinistrorsa che esprime l’introversione e il passato; una direzione destrorsa che indica l’estroversione, l’attività e la progettualità di un individuo.

E che dire della F minuscola?

Sembra rappresenti la proiezione completa del corpo umano.
Anche in questa singola lettera si può individuare una zona centrale, sede dell’Io e del progetto vitale, una zona inferiore, alla quale corrispondono le gambe e i piedi, una zona superiore relativa alla testa e al torace.

La scrittura può essere dunque lo “specchio” del corpo, nel modo complesso e affascinante della grafologia, o in quello semplice e ingenuo, ma allo stesso tempo intrigante e inspiegabile, delle lettere antropomorfe dell’alfabeto barocco di G.M. Mitelli.

Tra la scrittura e il corpo è intessuta una fitta trama di rimandi, di circolarità e ridondanze, già all’opera da quella volta in cui qualcuno, in solitudine o in compagnia, tracciò con il dito i primi segni sulla sabbia.

La fotografia proposta?

Per chi non l’avesse visto, I racconti del cuscino (The Pillow Book) è un film del 1996 diretto da Peter Greenaway. La storia è stata suggerita a Greenaway dalla lettura del libro scritto da una dama di corte giapponese, Sei Shōnagon, nel decimo secolo, che raccontava la storia di una ragazza che provava piacere quando i suoi amanti scrivevano poesie sul suo corpo.

Nel film, tra i ricordi di infanzia della giovane modella Nagiko, giapponese che vive a Hong Kong, ci sono gli auguri di compleanno che il padre calligrafo le dipingeva sul volto (vedi fotografia).

Adulta, la protagonista, persuade i suoi numerosi amanti a scrivere sul suo corpo alla ricerca di un sottile piacere.

Gli amanti vengono giudicati più dalla loro bravura calligrafica che per le abilità amorose. Ma è l’incontro con Jerome, dal quale sarà indotta lei stessa a scrivere ed a usare gli altri come carta, che da una svolta drammatica al “racconto”.

Nel film molti sono i rimandi all’interazione psiche corpo, all’estensione sul corpo dell’amante attraverso la scrittura, al segno del corpo del padre lasciato sulla pelle di Nagiko.

Il titolo del film si ispira ad un genere letterario giapponese, i “Libri del guanciale”. Opere erotiche, che solitamente narravano le esperienze delle geishe, che venivano conservati in un cassetto del tradizionale guanciale di legno, e che potevano fungere da manuali d’amore.

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