Profumi e parole

È la vigilia di Pasqua del 2021. Una sera stellata, mi sono messa a scrivere nel soggiorno di casa dove abito dal 1981, a Rubano, appena fuori Padova. Stasera voglio dedicare il mio tempo e i miei pensieri ai “compiti per casa” che Antonio G. Bortoluzzi ci ha assegnato. Partecipare a Le pagine dentro di noi, corso di lettura e scrittura online, laboratorio promosso da Il Portolano, scuola di scrittura autobiografica e narrativa, rappresenta tempo che mi regalo per vivere“un istante piccolo, piccolissimo, leggero” come gioia personale. In una passata edizione di CartaCarbone, Festival Letterario ebbi in dono un quaderno sulla cui copertina, appariva la scritta appena citata.

Quel taccuino ora mi diventa utile.

Per me, CartaCarbone, significa, prima di tutto, Bruna Graziani che ho conosciuto, alcuni anni fa, camminando sui Colli Euganei in una passeggiata letteraria organizzata dai Samdizat padovani. Mi sono sempre tenuta aggiornata sulle attività culturali di Bruna e ho partecipato a qualche edizione di CartaCarbone con grande soddisfazione per l’alta qualità delle proposte offerte in uno scenario, quale il centro di Treviso, a cui sono molto legata.  Sono nata, appunto, a Treviso nel gennaio del 1948, dalle parti di Porta Santi Quaranta dove ho vissuto fino alla primavera del 1960, con mamma, papà, due sorelle e due fratelli, tutti nati dopo di me.

Le battute che ho a disposizione per i “compiti per casa”, mi consentono di tratteggiare alcuni ricordi dei miei primi anni di vita partendo, dai “profumi” che ho dentro di me.

Il primo profumo mi porta a una mattina di Pasqua di tanti anni fa.

In nostri vicini di casa a Treviso, i signori Mazzotti, organizzavano, per noi tre sorelle, un gioco che non ho più dimenticato: la caccia al tesoro in giardino alle uova di cioccolato. Quello che mi piaceva di quel gioco, organizzato con grande gioia dalla signora Nerina, era l’odore delle foglioline di bosso o quello dei rametti di cipresso che mi rimaneva, fra le dita. Per me un piacevole profumo amarognolo anche con punte dolciastre. Penso che, poi, della sorpresa e del cioccolato, mi interessasse meno. Mi piaceva tanto anche il clima di festa che avvolgeva il nostro gioco infantile, per la partecipazione discreta ma gioiosa della giovane figlia Anna, che aveva qualche anno più di noi, e di una cagnolina affettuosa con le lunghe orecchie da cocker di color miele, di nome Musetta. Decenni dopo, quel gioco lo feci nel giardino dove abito tuttora, con i figli e decenni ancora dopo, con i nipoti. Una tradizione condivisa con mio marito che ci appassiona ancora oggi.

Un altro odore, un profumo che mi attira ancora adesso è quello della vecchia carta stampata, quella dei libri. Era un profumo che sentivo in casa del signor Bepi Mazzotti, che allora, negli anni 1954-60, non potevo capire chi fosse, che fine intellettuale, che grande uomo di cultura. E per molti anni non lo seppi. Ma entrare in quella casa, seppur di rado, mi creava una grande curiosità per i tanti libri che fin dall’atrio, apparivano alle pareti. Mi piaceva il clima colorato e profumato che mi accoglieva: era l’intreccio della carta ingiallita e della terracotta di sculture che apparivano tra una libreria e l’altra.

Aver letto, poi, che il docente del corso, era Antonio G. Bortoluzzi, scrittore veneto, premio Gambrinus-Mazzotti della montagna penso sia stata la “molla” che mi ha fatto superare alcuni ostacoli pratici per l’iscrizione al corso e cercare di imparare a scrivere un racconto.

Mi pare di ricordare che Antonio al terzo incontro, ci avesse suggerito che “senza regole, la creatività fa fatica a emergere”. Sembra un paradosso che la creatività possa essere legata a delle “regole” ma mi sembra che sia proprio così. L’ho vissuto e penso di averlo sperimentato sia nella mia vita personale e familiare che in quella professionale. Trovo il piacere di provare a scrivere racconti perché desidero lasciare una mia piccola traccia concreta. Non sapevo che il racconto fosse lo strumento che cercavo e così provo a “sperimentarmi”.

Per riprendere il tema “Profumi e parole”, ho dentro di me, un altro “profumo” legato, sempre alla mia infanzia, ma che godevo da un’altra parte della città di Treviso, Ponte Dante, su cui si affacciava la casa dei nonni paterni che frequentavo assiduamente. Mi piaceva guardare le acque del Cagnan che si congiungevano a quelle del Sile ma mi piacevano, soprattutto, le erbe fluttuanti e morbide che vivevano, folte e rigogliose, attaccate con tenere ma solide radici al fondo limaccioso delle acque limpide. L’odore di freschìn che le acque emanavano non mi dava fastidio ma mi piaceva per la sua freschezza e rotondità. Il Fiume Sile è stato, nei tratti da Ponte S. Martino agli ex Magazzini Generali della Storga a Porto di Fiera, un “grande compagno” nei miei sogni di bambina e di ragazzina. Al fiume, nelle sue diverse dimensioni, sono legata. Con grande gioia, qualche anno fa, ho trovato in un libro fotografico, donatomi dai miei cognati Giovanni e Cristina, (Giuseppe Bruno Immagine di un fiume, Il Sile, presentazione, Specchio del Sile e dintorni di Giuseppe Mazzotti, Biblios ed., 1982) alcune parole di Bepi Mazzotti che così scriveva nella sua presentazione: Si vedono scorrere acque limpide… un tremito silenzioso passa su quelle erbe simili a lunghi cappelli accarezzati da una invisibile mano…. acque scorrenti di una freschezza e trasparenza incredibili. Alla gioia di quella lettura casuale di qualche anno fa, si associò, subito il ricordo di quel freschìn che mi piace tanto e di cui ho nostalgia.

E per concludere, dopo aver cercato di completare i preziosi “compiti per casa”, assegnatici da Antonio il 22 aprile, ultimo laboratorio del corso, ho acquisito un “ricordo generalizzato” del gusto e dei profumi della cucina veneta che mi trovavo addosso sia nella mia casa, in quella dei nonni nonché nelle cucine dei vicini della mia prima casa. Ho imparato molto in quei miei primi anni guardando e assaporando i profumi dei piatti che vedevo preparare e poi, a pranzo o a cena, me li gustavo in famiglia o, come invitata, in casa dei vicini.

Prima di arrivare alla conclusione del racconto, ho cercato nella libreria di casa e nella biblioteca pubblica di Rubano, degli scritti di Bepi Mazzotti sulla cucina facendo anche una ricerca in Internet trovando un fiume di citazioni con abbondanti foto. Su carta, poi, ho scovato nel sistema bibliotecario Opacdella provincia di Padova, nelle biblioteche pubbliche di Loreggia e Camposampiero, due testi, arrivati a Rubano ai primi di maggio. Scritti che mi hanno dato grandi emozioni, aprendo squarci di memoria ad altri ricordi. Mi sono trovata fra le mani una agile pubblicazione (Giuseppe Mazzotti, Elogio della cucina veneta, Fondazione Mazzotti, Treviso, 2007) e un corposo volumetto (Giuseppe Mazzotti, a cura di Ulderico Bernardi, Scritti sulla cucina Veneta, Trevigiana, Valdostana, Fondazione Giuseppe Mazzotti per la Civiltà Veneta, ed. Canova, Treviso, 2001). Uno scritto che mi apre immensi orizzonti di “profumi”. Per fare qualche esempio: vino imbottigliato di casàda, in particolare quello delle Colle San Martino di Valdobbiadene, i teneri salami con l’aglio, la sopressa, i risotti con l’anguilla del Sile, delle tagliatelle con i fegatini, la zuppa di trippe, poénta e osèi, i bolliti misti con il cren, faraona con salsa pearada e polenta, fasioi sofegài, salatìna novella con sedano, meringhe con panna. Qui mi fermo, inondata da profumi e aromi ma soprattutto da ciò che ogni piatto rappresenta nel mondo degli affetti. Sfogliando il volume, ne troverei tanti e tanti altri. Ne ho solo citati alcuni, ma tutti reali nel mio ricordo a cui associo una realtà, che ho sempre sottovalutato, che sono i “piatti del buon ricordo”. Un oggetto che da piccola non ho mai apprezzato, e da grande me ne sono proprio dimenticata. Mio papà aveva la passione di appenderli in cucina ma io non li “vedevo”. Li “vedevo” solo se mi accorgevo che mia mamma per le pulizie di Pasqua, li tirava giù per togliere la polvere di cucina accumulata nel tempo.

Il racconto finirebbe qui, ma la mattina del 14 maggio 2021, mi è arrivata in mail, la notizia che il terzo volume legato al nome di Giuseppe Mazzotti, che trovavo nel sistema bibliotecario, era arrivato a Rubano. Era il volume dal titolo Le ville venete, catalogo a cura di Giuseppe Mazzotti, ristampa anastatica della terza edizione 1954 con la premessa di Lionello Puppi, Libreria Editrice Canova, Treviso, 1987.

Il dato che mi aveva fatto decidere di provare a richiedere il testo, non era solo il titolo che in ogni caso era interessante ma l’anno di edizione, il 1954 che la gentile bibliotecaria, giovane e curiosa quanto me, mi aveva letto con interesse nella scheda dell’archivio.

Il 1954 si colloca nel periodo dei miei ricordi di bambina che tratteggio in questo racconto. Al momento del ritiro del volume, ho avuto un balzo al cuore. Mi sembrava di riconoscere la copertina del volume che trovavo nella libreria dei nonni.  

Quali profumi, mi ha portato il ritrovamento, a distanza di tantissimo tempo, del volume? Prima di tutto, mi riporta nella stanzetta buia che il nonno Ruggero aveva nell’appartamento di Ponte Dante (piazza Garibaldi al numero 4). Era una specie di “stanza armadio” in cui erano conservati decine e decine di libri, in ordine per tipo. Ad iniziare dai volumi rossi a quelli verdi del Touring, mi sembra non solo di regioni e comuni italiani ma anche di vari paesi europei. Il nonno era un grande viaggiatore in treno e in nave. In quella stanzetta buia, c’erano anche pubblicazioni sulle Ville Venete e penso anche quella che ho ritrovato in biblioteca pubblica. In quella “stanza armadio”, ero inondata dal profumo di “carta stampata” ingiallita o meno.

Con i nonni paterni, Ruggero (8.12.1890) ed Eugenia (14.12.1895), ho viaggiato in treno o in pullman, con grande piacere ed interesse, varie volte, da Roma a Firenze, Montecatini, Milano, Merano, Campitello di Fassa e ovviamente Venezia. A Padova, forse al Santo ma sicuramente alla Basilica di Santa Giustina e all’Abbazia di Praglia che si raggiungeva con il vecchio tram dalla stazione ferroviaria.

Ma alla domenica, con la bella stagione, i nonni ricevevano inviti a pranzo da amici e conoscenti anche di fuori Treviso e mi portavano con loro. Ero la prima nipote. Il nonno, quando era necessario, prendeva un’auto a noleggio con autista. Lui si sedeva davanti, e la nonna e io, dietro. E qui i ricordi mi inondano dei profumi che ci avvolgevano solo all’entrata delle belle case alla veneziana che ci accoglievano:grande salone di entrata con le stanze ai lati; di solito la sala da pranzo era la prima laterale; la cucina, invece, in fondo al salone, in una zona riservata al personale di servizio. I profumi della cucina, dai cibi cotti in forno ai mazzetti di erbe, essiccate o meno, appese ai vari scaffali, si diffondevano in tutto il piano terra.

I profumi erano quelli dell’accoglienza, della convivialità, del piacere di conversare coi pié soto a tola e della riconoscenza per il lavoro che il nonno svolgeva nell’amministrare i  beni della famiglia.

Come “ospite bambina”, mi era consentito di entrare in cucina. Mi piaceva tantissimo “gustare” i profumi caldi: dal baccalà mantecato con il prezzemolo e aglio a quello alla vicentina con polenta, dai risotti con gli asparagi o i bisi a quellicon zafferano e osso buco al sugo di finocchietto, dall’oca bollita con insalata di sedano bianco ai sotto aceti fatti in casa. Per me era come un “gioco” entrare e curiosare nelle cucine dei padroni di casa dove quasi sempre, ero accolta con simpatia, dalla governante o dalla domestica a tempo pieno della famiglia.

Alcune di quelle dimore profumate, luminose, arredate con cura e mobili pieni di memorie, mi appaiono, nel ricordo, come possibili Ville Venete. Ricordo che le ville erano attorniate da ampi giardini, ornati da aiuole di bosso, fiorite, se la stagione lo permetteva, ma in ogni caso con preziose piante sempre verdi. Con mia grande sorpresa, consultando il Catalogo e precisamente, l’Indice dei luoghi a pagina 875 ho trovato dei riferimenti concreti. Ricordando i nomi delle località raggiunte, a quei tempi, sono rimasta senza fiato per le emozioni che mi sono salite dal cuore, riconoscendo, forse, alcuni posti visitati.

Ho tra le mani un volume di carta lucida di quasi 900 pagine ma soprattutto ho un grande tesoro di notizie, di parole scritte, di foto, di riferimenti di vita, in un intreccio ricco di amore per la terra delle proprie radici, la terra veneta, appunto. Un volume che “esplorerò”. La preziosità del volume sta, a mio parere, nella sua “vita di libro”, ancora vegeto e vivo in un sistema bibliotecario, pienamente funzionante al giorno d’oggi. Un volumenato, però, in un tempo in cui era necessario scrivere a mano o scrivere con la macchina da scrivere, su più fogli di carta velina con la carta carbone, tra l’uno e l’altro, per potere avere più copie del testo, come bozza tipografica. Un quasi over 70 di tutto rispetto per la sua vitalità.

Il racconto finisce qui. Senza accorgermi, si chiude, quasi come in un cerchio: CartaCarbone all’inizio del racconto come CartaCarbone, Festival Letterario (www.cartacarbone.treviso) in programma come VIII edizione ad ottobre 2021 e carta carbone e carta velina che, forse, Bepi Mazzotti ha usato per scrivere o far scrivere da una dattilografa del tempo, il prezioso e sempre attuale seppur quasi over 70, Catalogo delle Ville Venete. Una gemma preziosa.

Un cerchio nell’acqua provocato da Antonio con il “compito per casa” assegnatomi. Mi aveva suggerito di proseguire nel racconto descrivendo alcuni aspetti delle passioni di Bepi Mazzotti, un sasso lanciato nello stagno rigoglioso di una villa veneta, magari con le ninfee dalle lunghe radici acquee.

Un cerchio che si allarga su “acque quiete” e che mi apre il cammino per altri racconti di cui mi sono preparata i titoli annotati nel taccuino elegante di CartaCarbone, donatomi qualche anno fa.

Ma ora, e vorrò continuare in altri racconti, mi devo impegnare ad acquisire un metodo perché, l’istante, piccolo, piccolissimo, leggero, possa trasformarsi in un momento di grande gioia interiore e personale. Grazie ad Antonio G. Bortoluzzi e a ciascuna delle compagne viaggio (Anna, Barbara, Chiara, Daniela, Lucia, Margit e Silvia) e a ciascuno dei compagni (Gianfranco e Pedro).

Scrivere, vivere, ricordare è bello.

Il racconto è il frutto dell’esperienza di una partecipante al corso di narrativa “Le pagine dentro di noi” curato da Antonio Bortoluzzi.

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