Chi scrive deve riprodurre il proprio mondo, riportare alla luce la matita blu col gommino per capoccia, la gomma smangiucchiata dai dentini del figlio, il numero di cugini con cui pranza a Natale, i titoli dei libri rimasti impressi, il temperamatite difettoso che perde polvere e segatura colorata da un lato. E ancora, nell’altra stanza, il fruscio del ferro da stiro della madre sulle lenzuola di cotone, il sottofondo lontanissimo, appena percettibile, della musica che sta ascoltando con l’auricolare, lo sbuffo del ferro a vapore che sembra il sospiro di un condannato.
Un esempio fulminante, dalla grande Wislawa Szymborska
La mano
Ventisette ossa,
trentacinque muscoli,
circa duemila cellule nervose
in ogni polpastrello delle nostre cinque dita.
È più che sufficiente
per scriver Mein Kampf
o Winnie the Pooh