Ero a quel tempo visceralmente innamorata di un uomo dall’aspetto lupesco, mi faceva sussultare ogni volta che pensavo ai suoi occhi scintillanti e al sorriso colmo di luce fosca.
Ma quella sera si doveva festeggiare il suo compleanno, e i musi improvvisi degli ultimi giorni sembravano solo mie fantasie
– Ho prenotato in un ristorante sul Montello, ti vengo a prendere a casa alla solita ora –
Bene, mi dicevo. Indosserò il giubbetto regalato da lui, è un po’ corto ma poco importa, calzerò gli stivaletti regalati da lui, sono di un numero inferiore al mio ma hanno un colore sconvolgente, e poi stringerò al fianco la borsetta regalata da lui, ha le linee molto squadrate e contiene poco ma lo voglio far contento!
Raggiungiamo il piccolo ristorante attraversando un bosco profumato di terra, di linfa, di buio. Sembra di entrare in una fiaba: la casetta tutta illuminata sotto alle fronde pesanti e scure e noi sensuali e belli al tavolo con la fiamma della candela che ci separa.
Il caminetto vicino a noi è acceso, la zuppa di funghi dall’odore di muschio scotta nel piatto ed anche la mia faccia scotta. Mi sono accorta che fatica a guardarmi negli occhi e che la sua voce sembra una distesa di aghi di pino - forse con te sto sbagliando tutto, non va –
Ma è lui che lo dice o lo sto pensando io? E’ una frase così inconcepibile che mi dà nausea, non riesco a capire da dove sia provenuta, dio ti prego non dal suo cuore!
Usciamo nel fitto bosco, ho bisogno d’aria ma gli alberi questa sera sembra che non ne producano abbastanza. La sensualità che pensavo d’avere si è incagliata nella morsa dei vestiti privi della mia misura, i piedi mi fanno male e non c’è nessuno specchio fra i tronchi fitti dove controllare il rimmel inumidito. Il lupo che ringhia, lo strazio ed io così gentile e buona ed amabile da alzare la mano e colpire con forza il suo viso stupefatto producendo uno sciocco rumore vuoto e insipido.
Addio, anima mia.