Vicino alle finestre, erano disposti dei tavoli, e oltre i tavoli, c’erano delle persone che ci aspettavano.
Per capire perché fossimo lì bisogna fare un passo indietro: qualche settimana prima avevo risposto ad un invito, apparso in un post di Facebook, rivolto a tutti gli appassionati di fotografia che avessero voluto confrontarsi con altri fotografi all’interno di una manifestazione di street photography.
L’occasione mi sembrava interessante, così iscrissi mia moglie cha da qualche anno aveva cominciato a cimentarsi con la macchina fotografica.
La passione era nata un po’ per caso: all’inizio erano le foto delle vacanze, ma un po’ alla volta i soggetti erano cambiati, non più i familiari in posa davanti ai monumenti, ma le città, la gente, gli scorci e i particolari.
E l’amore è cresciuto con gli anni e gli hard-disk si sono riempiti, e le pareti di casa si sono coperte, per il piacere di noi di famiglia.
Fu così, quindi, che ci trovammo in questa sala, con queste persone attorno ad un tavolo e sul tavolo le immagini della nostra vita. Sparpagliate, toccate, scartate, accantonate, giudicate.
A pensarci bene non eravamo attorno ad un tavolo. Noi eravamo al di qua e loro erano al di là. Insomma quello che doveva essere uno scambio, un confronto, in realtà si era trasformato in un esame.
Non era quello che credevamo; o meglio, non era quello che io e mia moglie credevamo. Altri si sottoponevano a questo giudizio con un atteggiamento reverenziale, prendendo con gioia uno scampolo di complimento, un pizzico di approvazione e, secondo me, sognando il momento in cui anche loro sarebbero stati dall’altra parte del tavolo.
Ed intanto io pensavo: ma perché? Perché c’è gente che si sente in grado di giudicare e gente che vuole farsi giudicare?
Cosa ci spinge a mettere a nudo una parte di noi stessi nella speranza di sentirsi dire: “Bravo”?
Alla fine ce ne siamo andati, e con noi altri, forse quelli meno smaliziati, profondamente delusi dall’esperienza. Spero solo che qualcuno non abbia pensare: “Beh, forse non vale più la pena perdere energie in tutto questo…”.
È stato così, che ragionando su quello che avevamo vissuto continuavamo a chiederci: ma perché? Perché se sei fuori da certi giri, da certe relazioni è difficile avere attenzione? Perché non si può godere della passione di qualcuno senza dove giudicare o criticare? Perché?
“Ecchissenefrega!” ad un certo punto ho detto. “Lo creiamo noi un posto dove chiunque può pubblicare quello che vuole. Senza bisogno di essere l’amico o il cugino di qualcun altro!”
“Cioè?” mi chiede mia moglie. “Facciamo una rivista.” dico io. “Una rivista?” chiede lei.
“Sì, una rivista, un giornale, chiamalo come vuoi, comunque un posto dove poter pubblicare quello che ti piace fare senza nessuno che ti selezioni, che ti giudichi. Ti piace disegnare topolini? Lo puoi fare. Ti piace decorare palloncini? Lo puoi fare. Non poniamo limiti alle possibilità. Non mettiamo paletti. Liberi.
“Sì, liberi” dice lei e improvvisamente le si illuminano gli occhi.