“Zeno da giovane era uno spericolato. Correva con la moto velocissimo. Un giorno è scivolato sul ghiaino di una curva, ha perso l’equilibrio e si è schiantato contro un palo di cemento. Era il cancello con le glicini del dottor Totera ma questo è ininfluente. Si è frantumato uno zigomo e scassato una clavicola. Era deformato.
Non voleva perciò più sposare la signorina Maria di famiglia benestante, quasi tutti artisti, schermitori, gay, la dote delle donne fatta di lenzuola di lino ricamate con le iniziali, ai maschi le proprietà e la villa dove soggiornavano Hemingway e le sue crocerossine nella prima guerra.
Ma per Maria, una che nonostante il ceto non andava tanto per il sottile, per quella ragazza che si arrampicava sugli alberi e tirava di fioretto, a lei, Zeno andava bene lo stesso anche così, con quell’occhio sfondato (oh! Tutta quella stomachevole comprensione… non faceva altro che infierire sul danneggiato), con le sue nevrosi e il suo segreto.
Si sono sposati nel 1925 nove mesi prima che nascesse il primo figlio, Franco, che un giorno, tra una cosa e l’altra, diventò mio padre”.
Si sono sposati nel 1925 nove mesi prima che nascesse il primo figlio, Franco, che un giorno, tra una cosa e l’altra, diventò mio padre”.
Pensare ai nonni è capire che siamo rametti, e foglie. E chiederci le radici. Dicono che i vecchi hanno uno sguardo grande, grandissimo, perché abbraccia un passato che non sappiamo e, nel tempo, ha imparato a scrutare l’orizzonte, e anche più in là. Io non lo so se questo vale per mio nonno. È morto a 59 anni di ictus e l’ho conosciuto solo attraverso il racconto dei parenti.
Cosa sapete di vostro nonno? Io pochissimo perché è morto di ictus prima che nascessi.
Cosa sapete di vostro nonno? Io pochissimo perché è morto di ictus prima che nascessi.
Mi racconti il tuo?
Per approfondire:
Mio nonno si chiamava Gregorio Cavallin, nato a Montebelluna, fu soldato nelle trincee della Prima Guerra. È venuto in Argentina nel 1920. Ha lavorato come falegname e aveva un gran amore per la musica, suonava la tromba.
Aveva un volto chiaro, dolce e tenero. I suoi occhi azzurri mostravano, a volte, sentimenti ossimoronici, gioia e nostalgia. Mi domando sempre se si avrà incontrato con Giuseppe Ungaretti nelle amare trincee. In Argentina ha saputo imprimere nei suoi figli e nipoti l’amore per l’Italia.
Quando è tornato a Montebelluna negli anni sessanta per tre mesi, si incontrò con i suoi fratelli e le loro famiglie. Quel sentimento di ri-trovare o trovare le radici l’ho vissuto anch’io venti anni dopo quando ho sisitato il Veneto. Ho pianto di gioia quando ho conosciuto il paese, la gente, la famiglia, la casa di mio nonno.
Cara Elena, ma dove abiti adesso? che bello il tuo ricordo, varrebbe la pena approfondire, perché no? ci troverai tanti tesori…
Grazie, Bruna. Abito a Tafì Viejo, Tucumán, in Argentina.
Un cordiale saluto per te!
Elena
com’è che scrivi così bene?
Hola studiato la Língua italiana!