Cioè è attraverso la scrittura che si riesce a metabolizzare il dolore o è perché il dolore è stato metabolizzato che si riesce a scriverne? Entrambe le cose.
Appena guarderai in faccia il tuo dolore, la scrittura ti verrà in aiuto. E la penna farà un grande lavoro. Ma tendi sempre l’orecchio. Se qualcosa si inceppa, lascia. C’è un punto di equilibrio molto sottile che solo tu puoi percepire. Il percorso deve essere graduale e le regole le stabilirai da solo. Quando ci sarai riuscito, le vette dolorose di quel ricordo diventeranno collinette, cumuli di terra. Non significa che il tuo dolore sparirà ma sarà un poco addomesticato.
Proust e Leopardi parlano di assuefazione al dolore attraverso l’abitudine e la ripetizione. Il racconto è una ripetizione fruttuosa perché porta da uno stato passivo a uno attivo: ricostruendole, si acquisisce il controllo delle azioni passate, si concretizza il lavoro psichico e si produce una sorta di garza con cui tamponare i mali del passato:
Mentre i ricordi traumatici (soprattutto i flashback percettivi ed emotivi) sembra vengano subiti passivamente, le narrazioni sono il risultato di certe scelte ovvie (quanto raccontare, a chi, in che ordine e via di seguito) … Si possono controllare certi aspetti delle narrazioni e quel controllo, esercitato ripetutamente, porta a un maggior controllo sui ricordi stessi, rendendoli meno invadenti e conferendo a essi quel tipo di significato che permette loro di essere integrati nel resto della vita.
(Brison (1997 m. pag 24, preso da La filosofia delle donne di Nicla Vassallo, pag 44)