Aspetto, nonna, che la torta sia pronta.
Si chiama Margherita, come un fiore semplice, e come una canzone. Profuma la vecchia cucina in formica e le mattonelle arancio e marroni anni settanta, e le scale e le stanze di questa casa. E le tende all’uncinetto alle finestre. Aspetto nonna che la torta sia pronta, intanto sto qui seduta e ti guardo fare ordine. Canti fregandotene delle finestre aperte e intanto pulisci, ti asciughi le mani sul grembiule stinto, ti alzi in punta di piedi e fai un giro di walzer. La gonna a fiori si apre e scopre gambe ballerine mai invecchiate. Aspetto nonna che la torta sia pronta e mi godo la tua risata quando fermi il balletto, mi prendi la testa tra le mani e mi stampi due baci. E butti la testa indietro e apri la bocca e la dentiera ride con te.
La torta riposa dentro alla vecchia pentola, io m’incanto del profumo che ormai ha impregnato anche i miei vestiti e mi sembra di essere dentro ad una pasticceria dal legno di ciliegio e velluto sulle poltroncine, e vedo uova montate e creme ovunque e torte che lievitano. Poi tu nonna alzi il coperchio, piano piano giri la pentola, la torta scende e si appoggia su un piatto a testa in giù; come un rito, attenta a che non si rompa, la rigiri sul piatto bello da dolci, che è in porcellana bianca coi profili dorati. “Oro zecchino – mi dici ogni volta – un regalo di nozze” e ridi ancora.
E me lo metti davanti al naso: “Ecco qua, adesso però bisogna aspettare perché scotta!” e mi fai una carezza sui capelli. Le tue mani sanno di zucchero, nonna.
Aspetto, nonna mia, che la torta non scotti più.
“Si chiama Margherita – me lo dici anche oggi – come un fiore semplice, come una canzone”.
Leila Bordin